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Home » Blog » Rifiuti, traffico illegale tra Campania e Frosinone. Nove arresti e quattro sequestri

Rifiuti, traffico illegale tra Campania e Frosinone. Nove arresti e quattro sequestri

I rifiuti urbani venivano riclassificati in rifiuto speciale senza subire un trattamento che ne modificasse realmente le caratteristiche e la composizione
RedazioneRedazione25/05/20246 Mins Read

Associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e traffico illecito transfrontaliero di rifiuti.

Si conclude con nove arresti e quattro società sequestrate l’operazione della Squadra Mobile della Questura di Frosinone e il Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale (N.I.P.A.A.F.) del Gruppo Carabinieri Forestale di Frosinone.

Le indagini riguardano 41 persone fisiche e 9 persone giuridiche, residenti in diverse regioni d’Italia, per i seguenti reati: associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, traffico illecito transfrontaliero di rifiuti, smaltimento illecito di rifiuti, sostituzione di persona e trasferimento fraudolento di valori.

Le indagini

L’indagine trae origine a seguito del vastissimo incendio divampato il 23 giugno 2019 all’interno di un impianto di rifiuti ubicato nell’area industriale di Frosinone, specializzato nel recupero e nel riciclaggio di rifiuti solidi urbani ed industriali.

Dagli accertamenti eseguiti sulla gestione dei rifiuti da parte della società affiorava una consolidata associazione finalizzata al traffico illecito di rifiuti, si legge nel comunicato pubblicato dall’Arma.

Dall’attività svolta, infatti, è emersa una forte e stabile collaborazione tra gli amministratori (occulti) dell’impianto di Frosinone andato distrutto, le varie società campane che conferivano i rifiuti all’impianto e i gestori dei tanti impianti di smaltimento e recupero finale degli stessi, in primis un impianto di rifiuti di Cisterna di Latina (LT).

In particolare è emerso come, dal primo gennaio del 2019, all’interno della compagine societaria fosse entrato un noto imprenditore frusinate il quale aveva sostanzialmente cambiato il core business di detta società.

Invero, attraverso diverse società di intermediazione campane, l’imprenditore era riuscito ad accettare dalla Campania ingenti quantità di rifiuti. Nonostante gli stessi dovevano essere lavorati in quella Regione.

In particolare l’imprenditore, con i suoi collaboratori e con le società di intermediazione, sfruttava le criticità del sistema di gestione dei rifiuti urbani della regione Campania. Queste, si legge nel comunicato girato dall’Arma, consentivano l’abusiva uscita dall’ambito regionale campano di ingenti quantità di rifiuti facendoli confluire presso l’impianto di Frosinone.

La gestione dei rifiuti

Il passaggio transregionale del rifiuto campano veniva effettuato mediante l’artificioso cambiamento del codice identificativo (EER) del rifiuto.

I rifiuti urbani venivano riclassificati in rifiuto speciale senza subire un trattamento che ne modificasse realmente le caratteristiche e la composizione (soprattutto senza la stabilizzazione della frazione organica), rendendo in tal modo smaltibile tale rifiuto fuori regione, e aggirando così la normativa che vieta lo smaltimento dei rifiuti urbani fuori dalla regione di provenienza.

Attraverso questa cooperazione, si legge sul comunicato, gli indagati avrebbero violato gli articoli della legge che prevedono il divieto di smaltimento dei rifiuti urbani “in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti”.

La qualificazione CER 19 12 12

Il “principio di autosufficienza” avrebbe permesso, attraverso l’ulteriore sostegno di vari intermediari, lo smaltimento di rifiuti urbani (con un trattamento che non ne muta le caratteristiche) fuori dalla regione Campania sotto la qualificazione CER 19 12 12, con il conseguimento di un ingiusto profitto per tutte le parti coinvolte.

Come noto, i rifiuti che rientrano sotto la classificazione CER 19 12 12 sono difficili da gestire ed hanno un costo di smaltimento molto elevato. Ciò avrebbe permesso, attraverso la gestione illecita, di garantire profitti non solo alla società conferitrice, ma anche agli intermediari e all’impianto ricevente.

Inoltre, a prescindere dal fatto che le società e gli impianti erano in possesso delle preziose autorizzazioni alla gestione dei rifiuti misti (CER 19 12 12), trattandosi di rifiuti urbani essi erano da considerarsi di natura diversa rispetto a quanto dichiarato.

In definitiva i rifiuti provenienti dalla Campania, da qualificarsi invece come “urbani” nonostante il cambio del codice identificativo EER, transitavano con semplici operazioni di stoccaggio (senza dunque alcun trattamento) presso l’impianto di Frosinone, al fine di farne perdere le tracce.

Da qui venivano poi trasportati in altro impianto sito in Cisterna di Latina (LT), e da qui, senza ulteriore trattamento, smaltiti come scarti di lavorazione presso una discarica di Colleferro.

Inoltre dalla lettura dei formulari di identificazione dei rifiuti accettati presso l’impianto di Frosinone emergeva che molti di questi non risultavano essere accompagnati da analisi e rapporti di prova, rendendo così sconosciuta la reale composizione dei rifiuti stessi.

Il totale del quantitativo dei rifiuti erroneamente classificati ammonta a circa 2.550 tonnellate.

Il controllo sull’impianto di Frosinone

L’imprenditore, attraverso i suoi collaboratori, riusciva insomma a controllare, pur non comparendo personalmente, l’impianto di Frosinone. Questo veniva usato come sito di stoccaggio dei rifiuti provenienti dalla Campania poi trasportati nel sito di destinazione a Cisterna di Latina.

Le indagini hanno accertato che l’incendio dell’impianto di Frosinone non ha segnato la fine del traffico illecito dei rifiuti. L’organizzazione delineatasi intorno all’impianto ciociaro, con a capo un imprenditore locale ed un imprenditore campano quali dominus occulti, ha continuato ad operare su tutto il territorio nazionale ed anche internazionale.

I due infatti, forti delle loro conoscenze in quell’ambito, hanno continuato la loro attività di intermediazione ed al contempo si sono dedicati alla ricerca di un sito da trasformare nel nuovo centro dei loro affari.

Il sito di Aviano

Dopo un iniziale interesse per un sito a Varese, la scelta è caduta su un capannone ad Aviano (PN) gestito da una società in liquidazione. Le accurate ed articolate indagini hanno fatto emergere che, dopo il sequestro del sito, l’attività illecita di cui all’art. 452-quaterdecies c.p. è stata delocalizzata pertanto dall’impianto di Frosinone presso l’analogo stabilimento in Aviano (PN), operante nel medesimo settore.

In particolare, il sito di Aviano, veniva stabilmente utilizzato per stoccare abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti misti di ogni genere, compresi quelli ospedalieri. Un’azione che avveniva in violazione delle prescrizioni riportate nell’autorizzazione detenuta dalla società e delle normative che regolamentano la gestione dei rifiuti,

Parte dei rifiuti accumulati presso il citato impianto, inoltre, senza essere sottoposti alla benché minima operazione di selezione o di cernita. Quindi venivano illegalmente redistribuiti presso ulteriori impianti gestiti da soggetti compiacenti con il medesimo stratagemma della falsificazione del codice CER identificativo della tipologia dei rifiuti. Questi potevano trovarsi anche al di fuori dei confini nazionali, come in Ungheria o Repubblica Ceca.

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