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Home » Blog » L’emergenza climatica crea disparità retributiva

L’emergenza climatica crea disparità retributiva

RedazioneRedazione10/03/20245 Mins Read

Chi sostiene che i cambiamenti climatici non comportino ricadute anche sui redditi, o ignora la situazione o mente. Il nuovo rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) – che ha combinato i dati socioeconomici di oltre 950 milioni di persone in 24 Paesi negli ultimi settant’anni – ha evidenziato proprio che i cambiamenti climatici colpiscono in maniera sproporzionata i redditi delle donne rurali, delle fasce povere della popolazione e degli anziani, la cui capacità di reagire e adattarsi agli eventi meteorologici estremi è segnata dalla disuguaglianza.

Il rapporto Unjust Climate (Il clima ingiusto) mette in luce una cruda realtà: ogni anno, nei paesi a basso e medio reddito, le famiglie a guida femminile, nelle zone rurali, subiscono perdite finanziarie nettamente maggiori rispetto ai nuclei familiari con uomini capofamiglia. Rispetto a questi ultimi, infatti, le famiglie guidate dalle donne perdono, in media, l’8 percento di reddito in più, a causa dello stress termico e il 3 percento di reddito in più, a seguito delle inondazioni.

Ciò si traduce in una perdita pro capite di 83 dollari per lo stress termico e di 35 dollari per le inondazioni, per un totale, rispettivamente, di 37 miliardi e di 16 miliardi di dollari in tutti i paesi a basso e medio reddito.

Se le temperature medie dovessero aumentare di appena 1°C, queste donne subirebbero una perdita del reddito totale del 34% superiore rispetto agli uomini. Alla luce delle enormi differenze esistenti tra donne e uomini a livello di produttività agricola e salari, lo studio suggerisce che, in assenza di interventi risolutivi, i cambiamenti climatici sono destinati a esacerbare sensibilmente queste disparità negli anni a venire.

“Le differenze sociali riconducibili al luogo di residenza, alla capacità economica, al genere e all’età hanno un impatto formidabile, ma poco compreso, sulla vulnerabilità delle popolazioni rurali agli effetti negativi della crisi climatica. Questi dati sottolineano l’urgente bisogno di accantonare un volume sostanzialmente maggiore di risorse finanziarie e altrettanta attenzione politica alle questioni dell’inclusione e della resilienza nelle azioni per il clima, realizzate a livello sia mondiale che nazionale,” ha dichiarato il Direttore Generale della FAO, QU Dongyu.

Stando ai dati raccolti, tali effetti sarebbero diversi, a seconda, non soltanto del genere, ma anche dello status socioeconomico. Lo stress termico, vale a dire la sovraesposizione a temperature elevate, esaspera lo svantaggio retributivo delle famiglie rurali classificate come povere, che subiscono il 5 percento in più di perdite (17 dollari pro capite) rispetto alle famiglie più benestanti; i dati relativi alle inondazioni sono simili.

Nel frattempo, le temperature estreme inaspriscono il lavoro minorile e aumentano il carico di lavoro non retribuito delle donne nelle famiglie povere.

Analoga situazione si osserva per le famiglie composte da membri più anziani, che, nei periodi segnati da condizioni climatiche estreme, non riescono a trovare opportunità di lavoro al di fuori dell’azienda agricola, con la stessa facilità dei nuclei familiari guidati da individui più giovani. Il che rende i loro redditi più vulnerabili a questi eventi.

Le condizioni meteorologiche estreme obbligano le famiglie rurali impoverite a ricorrere a strategie di sopravvivenza inadeguate, tra cui la riduzione dei flussi di reddito, la vendita del bestiame e il trasferimento della spesa dalle aziende agricole ad altre destinazioni.

Tuttavia, tali azioni non fanno che acutizzare la vulnerabilità di tali soggetti ai cambiamenti climatici di lungo termine.

Dallo studio emerge che le popolazioni rurali e le loro vulnerabilità climatiche sono a malapena menzionate nei piani climatici nazionali. Nei contributi determinati a livello nazionale (NDC) e nei piani nazionali di adattamento (NAP) dei 24 paesi analizzati nel rapporto, soltanto il 6% delle 4.164 azioni per il clima proposte, menzionano le donne, mentre il 2% fa esplicito riferimento ai giovani, meno dell’1% cita i poveri e circa il 6% nomina gli agricoltori delle comunità rurali.

Analogamente, sul totale dei finanziamenti per il clima tracciati nel 2017-2018, soltanto il 7,5 % è stato destinato alle misure di adattamento ai cambiamenti climatici, meno del 3% è stato accantonato per agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo, o altri investimenti legati all’agricoltura, mentre solo l’1,7%, per un totale approssimativo di 10 miliardi di dollari, ha raggiunto i piccoli produttori.

Le politiche agricole, inoltre, non hanno colto l’opportunità di favorire la parità di genere e l’emancipazione femminile nel contesto di vulnerabilità sottese, per esempio, ai cambiamenti climatici.

Il rapporto esorta a investire in politiche e programmi che tengano conto della multidimensionalità delle vulnerabilità climatiche delle popolazioni rurali e delle loro difficoltà specifiche, compreso, tra queste, l’accesso limitato a risorse produttive.

Raccomanda di creare sinergie tra programmi di protezione sociale e servizi di consulenza che possano incoraggiare l’adattamento e risarcire gli agricoltori per le perdite subite, per esempio, grazie a programmi di assistenza sociale basati sul contante.

Azioni inclusive per il clima sono incorporate nella Strategia della FAO e nel Piano d’azione sui cambiamenti climatici nonché nel Quadro strategico della FAO per il periodo 2022-2031, dove l’individuazione di soluzioni all’impatto dei cambiamenti climatici è parte integrante degli interventi volti a raggiungere i quattro pilastri di miglioramento: una migliore produzione, una migliore nutrizione, un ambiente migliore e una vita migliore per tutti.

Allo stesso modo, la tabella di marcia globale per il conseguimento dell’OSS2 senza superare la soglia di 1,5 °C stabilisce che le disuguaglianze di genere, le azioni per il clima e la nutrizione sono tre sfere tra loro inestricabilmente legate e che gli interventi devono tener conto di tali dimensioni e promuovere l’inclusione di donne, giovani e popolazioni indigene.

Ad oggi le popolazioni più colpite sono già quelle più povere e con difficoltà, se la situazione dovesse perdurare senza un effettivo cambiamento di rotta, anche i paesi più ricchi ed industrializzati potrebbero vedere gli stessi effetti sull’economia generale e su quelle delle famiglie.



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