Il Villaggio delle Macine era uno dei villaggi che furono costruiti sulle rive dei laghi a seguito di una drammatica ondata di siccità, abbattutasi circa 3200 anni fa in gran parte dell’Europa, che costrinse tante popolazioni a edificare villaggi sulle rive dei laghi.
Il villaggio palafitticolo (il più grande tra quelli scoperti in Europa) occupava una superficie di oltre un ettaro e vi vivevano oltre cinquanta nuclei familiari.

Il sito archeologico fu scoperto per caso nel 1984 e grazie alle ricerche subacquee effettuate dai sommozzatori del Gruppo Latino viene alla luce tantissimo materiale che è oggi conservato presso il Museo Civico di Albano Laziale.
Sono questi gli anni in cui inizia la lenta discesa del livello delle acque e nel 2001 parte la prima campagna di scavi, ripresa in grande nel 2009 quando iniziano ad emergere dalle acque del lago le prime palafitte.
È questo l’anno in cui il Parco Regionale dei Castelli Romani, in collaborazione con la sovrintendenza e con il Comune di Castel Gandolfo, allestisce un villaggio con pannelli esplicativi che diventa meta di frotte di scolaresche e di partecipanti alle escursioni organizzate dall’ente Parco.
Insomma, c’erano tutti i presupposti per creare un’importante area espositiva come ne esistono nel Nord Italia. Il villaggio poteva diventare uno dei più importanti siti archeologici visitabili dei Castelli Romani, tenendo conto anche che il lago è meta di centinaia di turisti che affollano il suo lungolago.

E invece si ferma tutto e, inspiegabilmente, l’area viene abbandonata a sé stessa!!
Nel frattempo il livello delle acque continua a scendere, le palafitte continuano ad affiorare e a polverizzarsi a contatto con l’aria e il sito è oggetto sino ad oggi (quindi per 16 lunghi anni) di continue asportazioni di materiale. Le palafitte dell’età del Bronzo diventano souvenir da portare a casa come ricordo della gita a Castel Gandolfo. Perché tutto questo?
L’area dove nel 2009 si trovava il villaggio del Parco, oggi è a 100 metri dalle rive del lago. Quindi, se all’epoca fosse stata realizzata un’area espositiva dedicata al Villaggio delle Macine, oggi quest’area si troverebbe a 100 metri dalle ultime palafitte che emergono dall’acqua. Sarebbe stato davvero difficile gestire un’area espositiva che si “spostava” anno dopo anno.

Infatti, mentre i villaggi del Nord Italia sono stabili, nel senso che l’area non si modifica nel tempo, per cui è stato facile realizzare aree espositive visitate da centinaia di turisti, sulle rive del lago Albano avremmo avuto la difficoltà di gestire in questi ultimi sedici anni un’area espositiva di 10.000 metri quadrati che variava di anno in anno a causa della discesa del livello delle acque. Centinaia di palafitte che emergevano dall’acqua e che si volatizzavano a contatto con l’aria.

In definitiva, potrebbe essere giusta l’idea di realizzare qualcosa adesso, perché di palafitte ne sono rimaste una decina e, a pochi metri dalla riva, l’acqua diventa molto profonda e quindi, oggi, ci sono le condizioni per realizzare un’area espositiva.
A questo punto, però, ho fatto un’altra riflessione. Se nei primi anni 2000 fosse stata emessa una legge per proteggere il sito, allora bisognava attuare tutte le misure per conservarlo e quindi sarebbe stato necessario eliminare o ridurre i prelievi diretti dell’acqua del lago.
Insomma, per salvaguardare il sito archeologico avremmo salvato il nostro lago. Evidentemente siamo nel campo di ipotesi abbastanza fantasiose che non hanno alcun riscontro e, quindi, il nostro è un cold case senza soluzione e senza colpevoli.





