Oggi andremo a scoprire le origini dell’antica Albunea. I Latini, a differenza degli altri popoli che avevano dei luoghi dove praticavano i loro riti sacri, professavano un vero e proprio culto dei luoghi: siti che venivano venerati, in quanto la loro esistenza non dipendeva dagli uomini, ma dalla presenza di una potenza divina.
Questi luoghi sacri erano aree particolari del territorio, come la sommità di un monte (Monte Cavo), un lago circondato da un bosco (lago di Nemi), un’area dalla natura “infernale” (Solfatara di Pomezia).
Albunea o la Solfatara
In particolare, la solfatara era la mitica Albunea: un luogo sacro, un santuario naturale cui faceva riferimento la religiosità delle antiche popolazioni latine.
Il nome mitico deriva dal colore bianco (alba) delle effervescenti sorgenti sulfuree che alimentavano il lago che ancora oggi caratterizza la valle della Solfatara.
Si tratta di un’area del Vulcano Laziale contraddistinta dalla presenza di minerali e gas di origine vulcanica, tracce di minerali solforosi e ferrosi, dove si trovano tre piccoli laghi.
L’ubicazione di Albunea, seppur in passato dibattuta, oggi viene riconosciuta nella località Solforata, all’incrocio delle vie che collegavano i villaggi di Ardea, Lavinium e Alba Longa.
La localizzazione di Albunea ha, oggi, anche il conforto dei dati archeologici che hanno registrato la scoperta di un santuario in cui sono stati rinvenuti due cippi (IV-III secolo a.C.) con la dedica alle tre fate: Lar Aineas, Parca Maurtia Neuna e Neuna Fata.

Albunea era un luogo che suscitava un sacro timore; i vapori fumanti delle acque sulfuree, gli specchi d’acqua, dai colori innaturali, che ribollivano dal sottosuolo e le grotte naturali, davano al luogo l’aspetto di un mondo infernale.
Qui, come scrive Virgilio nell’Eneide, si trova la grotta del padre Fauno, considerato il progenitore dei Latini, dove il dio sarebbe apparso al re Latino per annunciare l’arrivo di Enea, predestinato a divenire lo sposo della figlia Lavinia ed il progenitore della famiglia Giulia, cui apparterranno Cesare ed i primi imperatori romani.
Alla ricerca di Albunea
Il nostro percorso inizia da via di Solfatara (nei pressi del fosso della Solfatara) dove si deve si deve lasciare l’auto a bordo strada su una serie di tornanti.
Si passa accanto ad una sbarra e si prosegue verso destra, costeggiando colline di materiale di riporto della vecchia cava, e dopo un breve cammino, al di là di una piccola collina, troviamo tre laghetti.
Il primo, dal tipico colore verdastro, con un faraglione vulcanico al centro; un secondo piccolino e un terzo, più grande, che è la vera attrazione del sito: il Lago Bianco che si presenta come un’immensa distesa lattiginosa circondata da piccoli soffioni sulfurei.

Il colore giallo del terreno circostante è dato dalla precipitazione dello zolfo che avviene nel momento in cui il gas, fuoriuscendo dal terreno, perde la sua componente di idrogeno.
Proseguendo sulla carrareccia poco sopra i due laghetti, si arriva al Lago Rosso, detto anche lago degli innamorati. Oramai i suoi colori sono divenuti normali, infatti l’alga che conferiva questa particolare colorazione si è notevolmente ridotta.
Se si prosegue sotto le pareti dell’enorme cava si arriva ad altri due punti panoramici a picco sul lago. Oltre non è possibile andare.

Tornando nella zona dei laghetti c’è la possibilità di salire in cima al colle che domina l’area dove troviamo una testimonianza dell’importanza storica della zona: il rudere della medioevale Tor Tignosa. Il panorama che offre questo promontorio è eccezionale!

La via del ritorno dell’antica Albunea è la stessa dell’andata, si potrebbe proseguire per i campi, tagliando, ma essendo tutta zona di proprietà privata e zona agricola/pastorale c’è il rischio di incontrare greggi con cani al seguito.
segui le nostre rubriche