Il 16 maggio si celebra la Giornata Internazionale della Celiachia, condizione cronica che impedisce di assumere alimenti contenenti glutine come pane e pasta, ma in Italia c’è ben poco da festeggiare visto i prezzi dei prodotti senza glutine.
Per tutelare i pazienti, la celiachia è stata riconosciuta come malattia sociale, con l’assegnazione di contributi economici regionali per l’acquisto di prodotti senza glutine.
Secondo una recente indagine dell’Osservatorio Nazionale Federconsumatori (O.N.F.), i prezzi dei prodotti dietoterapeutici senza glutine sono aumentati mediamente del 4,6% dal 2016. L’associazione evidenzia un aumento medio del 10% nelle farmacie e una diminuzione del 4% nella grande distribuzione organizzata (GDO). Notevoli le differenze di prezzo: il divario raggiunge il 166% per i crackers tra i negozi specializzati e la GDO.

Il sistema di erogazione dei contributi avviene tramite buoni elettronici o codici sanitari e cambia in base a ogni regione, provocando disparità significative nei diritti e nel potere d’acquisto dei celiaci. In alcune regioni, i pazienti non possono utilizzare il contributo nei supermercati o ipermercati; in altre, i buoni non sono validi fuori dal territorio regionale, creando notevoli disagi a chi viaggia per lavoro o vacanza.
L’indagine Federconsumatori analizza anche i pasti senza glutine nei ristoranti e nei bar, che risultano il 18,33% più cari rispetto a quelli tradizionali. Rispetto al 2016, i pasti per celiaci consumati fuori casa hanno subito un aumento del 16,7%.
Federconsumatori sottolinea la necessità di armonizzare la normativa, ridurre le disparità territoriali e migliorare la qualità della vita dei celiaci, «perché dettagli che possono sembrare banali, in realtà sono fondamentali per chi è costretto a convivere quotidianamente con questa patologia».
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