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Home » Blog » Il voto (in)utile

Il voto (in)utile

RedazioneRedazione11/06/20244 Mins Read

La corsa al voto utile è uno degli aspetti centrali della politica moderna. Sono pochi gli elettori che intendono “cestinare” il proprio voto per una battaglia di testimonianza. La maggioranza preferisce sostenere forze politiche che hanno possibilità concrete di farcela, o come diceva il grande Ennio Flaiano: “Il popolo italiano corre sempre in soccorso del vincitore”.

Stavolta, però, il dato dovrebbe far riflettere tutti i partiti. Il voto è ormai considerato inutile. Per la prima volta nella storia non si raggiunge il 50% degli aventi diritto, ponendo l’Italia al di sotto della media europea.

Una crisi democratica che non trova argini. Chi si reca alle urne lo fa con rassegnazione. In pochissimi credono che davvero il loro voto possa modificare l’esistente. Nei ceti medio-bassi il dato di astensione vola alle stelle. L’Italia si sta “americanizzando” sempre più, lasciando ai margini del dibattito politico i bisogni più urgenti dei cittadini. Nel Mezzogiorno d’Italia il livello di disaffezione al voto è ormai cronicizzato, le speranze non sono più riposte nella politica.

Con un tasso di diserzione alle urne così alto, chi decide di esprimersi incide molto di più. Il caso più emblematico di questa tornata elettorale è il risultato di AVS. Un dato che non può non essere osservato con attenzione. La candidatura di Ilaria Salis ha portato a una spinta decisiva per il raggiungimento dell’obiettivo. Ma perché?

Le persone vogliono che il proprio voto sia appunto “utile”. Molti obiettivi fondamentali per la collettività come il salario minimo, una migliore sanità, un lavoro dignitoso, sono visti come irraggiungibili e allora meglio “ripiegare” per qualcosa di concreto. La liberazione della Salis è diventata quindi un’azione concreta più che raggiungibile, molto appetibile per un elettorato in cerca di un voto che porti risultati.

La grancassa mediatica ha certamente aiutato. I media hanno reso Ilaria Salis un simbolo. Nessun riferimento al suo passato burrascoso, fatto di denunce e processi. L’opposizione a Orbán ha assunto una centralità maggiore rispetto alla guerra e alla crisi economica. I media impongono un tema, tambureggiano senza sosta e l’opinione pubblica viene, senza neanche rendersene conto, trascinata in questo concerto. Una parte dell’elettorato ha quindi utilizzato il voto per l’unica azione ritenuta utile.

Nessuno però analizza un aspetto determinante. Ma se il popolo è costretto ad utilizzare il voto per un’azione concreta, diciamolo, molto alla portata anche senza quel voto, siamo ridotti a un brandello di democrazia. Un Paese che non si reca alle urne e se lo fa è per sostenere battaglie che, seppur giuste, sono di piccolo cabotaggio, è destinato ad essere marginale nel contesto internazionale.

In queste elezioni i simboli hanno trascinato più dei leader. Berlusconi da morto ha trainato più di Tajani da vivo. Salvini si è salvato dalla debacle solo grazie a Vannacci e alle sparate quotidiane su cosa è italiano e cosa non lo è.

Il dibattito pubblico si è incentrato sul gossip, talvolta imbarazzante, e sul dualismo Meloni-Schlein, anch’esso imposto dai media nazionali a colpi d’interviste nei TG, ma su contenuti molto marginali rispetto ai bisogni delle persone.

L’unica forza politica che non ha messo una “bandiera” nelle proprie liste è stato il M5S, e Conte ne ha pagato le decime venendo risucchiato da PD e AVS.

Il non voto ha fatto perdere consensi a Calenda, Renzi ma anche a Meloni, Salvini e Forza Italia, perché in pochi lo dicono, ma hanno perso quasi un milione e mezzo di voti rispetto a un anno fa.

La bassa affluenza ha coperto le magagne, spingendo il PD a una quota molto alta, confermando nella sostanza il numero di elettori.

Un tempo Berlinguer basava le sue analisi sull’affluenza. Quando a votare erano in molti aumentava la speranza di affermazione. Oggi i partiti sperano invece che siano sempre meno gli elettori a recarsi al voto così da poter rendere immutata la condizione esistente. Per salvaguardare i propri interessi.

Viviamo in un momento di grande crisi politica mondiale. Con il pericolo di una guerra su vasta scala e con ricadute economiche pesanti. Nonostante ciò l’interesse per la politica è ai minimi storici. Senza prospettive future il Paese non potrà uscire da questa crisi di valori.

Serve quindi pensare a nuovi modelli sociali, per far tornare la speranza. Serve una politica ancorata alla realtà, che sappia dare risposte concrete al popolo. Solo così si potrà invertire la tendenza.

Solo così si potrà trasformare da inutile a utile il voto degli italiani.

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