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Home » Blog » “La nostra coscienza sporca, di fronte ai diritti negati, tra mafie e caporali”

“La nostra coscienza sporca, di fronte ai diritti negati, tra mafie e caporali”

Duro "j'accuse" di Don Luigi Ciotti a margine della morte di Satnam Singh ed a pochi giorni dalla nuova manifestazione della Cgil a Latina
RedazioneRedazione03/07/20244 Mins Read
Don Luigi Ciotti, per il fondatore di Libera l'autonomia differenziata è un errore

Al posto dei pomodori, i resti di un braccio umano. Lo immagineremo quando andremo al mercato, fra i banchi di merce a basso prezzo.

Non potremo fare a meno di pensarci, al braccio di Satnam Singh abbandonato dentro una cassetta agricola come un semplice scarto di produzione, e saremo costretti a riflettere sui meccanismi disumanizzanti – il «lavoro schiavo», nelle parole di Papa Francesco – che quella produzione spesso governano.

O forse no. Forse come tante, troppe volte è capitato, ci dimenticheremo in fretta anche di quest’ultima tragedia. Gli incidenti sul lavoro sono un dramma quotidiano nel nostro Paese e colpiscono uomini e donne di qualsiasi nazionalità ed età.

Ma i lavoratori stranieri irregolari, come era Satman Singh, sono i più fragili ed esposti. Per loro infatti non c’è soltanto il problema della sicurezza messa in secondo piano dai dogmi della produttività e del profitto. Non solo il rischio di malori o infortuni causati da ritmi folli e scarsa formazione.

C’è anche la certezza di non venire soccorsi o addirittura subire violenze ulteriori, se osano rivendicare i propri diritti.

Come è accaduto a Daouda Diane, ivoriano, scomparso e probabilmente ucciso due anni fa in Sicilia, per il quale in tanti chiedono verità e giustizia.

Alla base ci sono leggi che invece di governare con intelligenza un fenomeno, quello migratorio, si accaniscono contro le persone, costringendole a una vita sotto ricatto. Se la mia stessa esistenza è considerata “illegale”, l’illegalità sarà la mia unica scelta. Dovrò accettare un lavoro in nero, un affitto fuori dalle regole e un sistema di subdoli favori – sempre pagati cari – al posto dei diritti primari.

In tutto questo hanno facile gioco le mafie: quelle internazionali che gestiscono la tratta e quelle locali che controllano il caporalato o assoldano manodopera criminale a basso costo fra i disperati. Ma a prosperare è anche un sistema di illegalità che non è mafioso in senso stretto, eppure con le mafie condivide il disprezzo per la vita umana. Gli imprenditori senza scrupoli che sfruttano i lavoratori stranieri – e italiani – non sono affiliati ai clan.

La grande distribuzione che gioca al ribasso continuo dei prezzi, pur sapendo quanto incida sulle condizioni di lavoro, è gestita da rispettabili manager, non dai boss.

E noi? Anche i cittadini – nelle vesti di consumatori, educatori, elettori – hanno delle responsabilità…

Quando qualcosa a cui teniamo parecchio ci viene a mancare, diciamo: «È come se mi avessero tagliato un braccio». Ecco, quel povero braccio amputato al giovane Satnam Singh dovremmo sentirlo come nostro. Dovremmo sentire che ci tagliano un braccio ogni volta che i diritti di qualcuno vengono negati, la sua dignità offesa, le sue speranze di vita cancellate!

Quei diritti, quella giustizia, quell’etica dovrebbero rappresentare un pezzetto fondamentale della nostra civiltà che si dice evoluta e democratica.

Non un orpello del quale si possa fare a meno, ma appunto un braccio: il braccio che siamo chiamati a tendere verso i nostri simili in fuga da guerre, persecuzioni, miseria e disastri ambientali.

Forse allora il problema è che le persone straniere non le sentiamo abbastanza “simili”. C’è un razzismo strisciante e inconfessato che ci rende meno sensibili alle sofferenze di chi arriva da lontano. E ci fa dimenticare in fretta l’ennesima tragedia del mare – il naufragio nello Jonio con almeno 34 morti e chissà quanti dispersi – il povero Satnam, Daouda e tutti gli altri per i quali ci eravamo commossi, senza però darci una mossa decisiva.

Questi fratelli e sorelle umani lasciati morire in mare, respinti verso i lager e le violenze che subiscono nei Paesi di transito, abbandonati a un vita invisibile, di stenti a abusi nei campi o nei cantieri, sono la coscienza sporca dell’Occidente. Il braccio che ci siamo lasciati tagliare, senza fare una piega.

Don Luigi Ciotti Presidente Libera e Gruppo Abele

fonte La Stampa

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