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Home » Blog » Sulle tracce del tempo: I Papi a Castel Gandolfo

Sulle tracce del tempo: I Papi a Castel Gandolfo

Maurizio BocciMaurizio Bocci14/07/20256 Mins Read
I Papi a Castel Gandolfo

Visto l’interesse mostrato dai lettori del precedente articolo della rubrica “Sulle tracce del tempo” (La villeggiatura ai tempi del papa re) ho deciso di approfondire il tema e raccontarvi qualche aneddoto sulla villeggiatura dei papi a Castel Gandolfo.

Già sappiamo che il 10 maggio 1626 papa Urbano VIII, al termine dei lavori di ammodernamento del Palazzo Pontificio a cura di Carlo Maderno, fissò la partenza per la prima villeggiatura a Castel Gandolfo. 

Il trasferimento del papa nel borgo castellano, che oggi avviene in auto o in elicottero, a quei tempi durava almeno mezza giornata con due soste a Tor di Mezza Via, ospite dei Marescotti, e alle Frattocchie all’interno di Villa della Sirena di proprietà dei principi Colonna, feudatari di Marino. Questa villa, oggi gestita dai Trappisti, ospitò spesso i pontefici che si recavano nella residenza papale di Castel Gandolfo, come risulta dalle iscrizioni poste sopra le porte delle camere del primo piano del palazzetto. 

Il papa partiva dal Quirinale (allora sede della corte pontificia) a bordo di una carrozza a sei cavalli, seguito da uno stuolo di persone, a cavallo o in carrozza, tra i quali: monsignor Maestro di casa, il confessore, il segretario degli stati pontifici, il segretario delle cifre, il medico segreto, l’elemosiniere (responsabile di esercitare la carità verso i poveri), il caudatario (addetto a tenere il lembo delle vesti pontificie), l’aiutante di camera, il coppiere (uno dei nove camerieri segreti), lo scalco (cameriere personale del papa), il maestro delle poste, i chierici segreti, i cappellani, i furieri e i lettighieri. Almeno 150 persone ai quali bisognava aggiungere i cuochi, i bottiglieri, i panettieri e, soprattutto, gli sbirri di campagna convocati dal governatore di Roma per garantire la sicurezza del convoglio papale lungo il tragitto, e i cavalleggeri che si sarebbero trattenuti a Castello per fare la ronda di notte intorno al palazzo.

Dal 1626 al 1637, ogni anno Urbano VIII tornò sul lago nei mesi di aprile, maggio e ottobre per una villeggiatura che durava da due a tre settimane. A Castel Gandolfo, infatti, il papa non era solo in vacanza: continuava il suo ministero spirituale e politico. La residenza divenne progressivamente un’alternativa alle dimore romane per garantire il governo della Chiesa anche nei mesi di riposo. I cardinali trovavano alloggio nelle vicinanze, spesso nelle residenze nobiliari di Albano e Castel Gandolfo, mentre i familiari del papa occupavano gli appartamenti ai piani inferiori del palazzo, adeguati al loro rango.

Va ricordato che non tutti i pontefici amavano passare le vacanze a Castel Gandolfo; il successore di Urbano VIII, Innocenzo X, non venne mai qui e dal 1626 al 2014 su 31 pontefici solo in 15 l’hanno utilizzata.

Chi amò in modo particolare Castel Gandolfo fu Alessandro VII Chigi che fece effettuare parecchi lavori all’interno del borgo e lo ricordiamo perché usò come rimessaggio per il suo brigantino (piccolo bialbero a vela donatogli dalla città di Genova) la grotta sulle rive del lago che per questo motivo prese il nome di Ninfeo Bergantino. 

Nel Settecento la tradizione della villeggiatura a Castel Gandolfo si consolidò con 4 papi su 7 in vacanza ai Castelli e nell’Ottocento furono 3 pontefici su 5 a risiedere nella villa, con uno stop di 14 anni tra Pio VII e Gregorio XVI. La pausa più lunga fu di 65 anni, dall’ultima villeggiatura di Pio IX nel 1869 al ritorno di Pio XI nel 1934dopo la firma dei Patti Lateranensi, avvenuta l’11 febbraio 1929. I Patti risolsero definitivamente la “Questione Romana”, ovvero il conflitto tra Stato e Chiesa nato con l’annessione di Roma al Regno d’Italia nel 1870. In particolare, i Patti hanno istituito la Città del Vaticano come stato indipendente, regolando i rapporti tra Italia e Santa Sede, e fu concessa al pontefice la proprietà di Villa Barberini. Nell’occasione, Pio IX Ratti volle completare la residenza di Castel Gandolfo con l’acquisto di alcuni orti di Albano per installarvi una piccola azienda agricola, tuttora esistente. 

Dopo papa Ratti, ad eccezione di Giovanni Paolo I e Francesco, tutti i pontefici hanno soggiornato a Castel Gandolfo e di Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II si conoscono divertenti aneddoti.

Giovanni XXIII, per esempio, quando andava in vacanza faceva impazzire i responsabili della sua sicurezza. Il pontefice, infatti, ogni tanto spariva, uscendo da uno dei cancelli della Villa Pontificia senza avvertire nessuno e senza scorta. Se ne andava in giro per i Castelli, tra la gente e poi, magari, andava a farsi una passeggiata in riva al lago. 

Paolo VI trascorreva la prima settimana di villeggiatura dedicandosi a un suo personalissimo ritiro spirituale: pregava e basta. Una volta, su richiesta dei dirigenti della squadra di calcio locale, fu chiesto al papa se potesse fare qualcosa per aiutare i ragazzi e i genitori in grande difficoltà per le trasferte della squadra. Passarono soltanto dieci giorni e alla fine i dirigenti della società di calcio ricevettero un assegno di due milioni per comprare il pulmino. Così quando uno dei genitori andò a salutare il papa che terminava il suo soggiorno estivo, lo ringraziò per il dono fatto alla società calcistica e Paolo VI gli sussurrò: «Ricordati quello che ti dico, quando serve qualcosa c’è sempre lo zio di Roma».

Giovanni Paolo II amava in modo particolare Castel Gandolfo e ci veniva in periodi diversi dell’anno, soprattutto di ritorno dai viaggi o durante le feste. La prima volta che incontrò i dipendenti della Villa Pontificia si lamentò del fatto che non erano presenti i familiari e così, negli anni successivi, incontrava le famiglie e nell’occasione celebrava la messa. La sua era una presenza viva; nel senso che passeggiava lungo i giardini più volte durante il giorno e si fermava a parlare con i giardinieri e s’interessava dei lavori che stavano facendo. Giovanni Paolo II aveva un rapporto speciale con i figli dei dipendenti e, quando arrivava, invece di salutare il direttore, si fermava a scherzare con i bambini che lo stavano aspettando. Durante le passeggiate, i piccoli lo vedevano arrivare di lontano e si nascondevano dietro i cespugli. Così quando il papa passava accanto a loro, uscivano d’improvviso gridando e andandogli incontro e il papa faceva finta di spaventarsi. Per i bambini era diventato un gioco cui tenevano tantissimo. Vojtyla ha lasciato a Castel Gandolfo un ricordo fantastico non solo per il suo rapporto con i bambini, ma anche per il suo modo di stare tra i giardinieri della Villa Pontificia. 

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