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Home » Blog » Ecco il contratto capestro che ha esautorato i comuni e chi comanda veramente Acqualatina.

Ecco il contratto capestro che ha esautorato i comuni e chi comanda veramente Acqualatina.

Eugenio SiracusaEugenio Siracusa26/08/20246 Mins Read

Il pegno delle azioni dei Comuni date alla Depfa Bank – oggi passate alla FMS WERTMANAGEMENT – in cambio di un finanziamento da 114,5 milioni di euro, ha di fatto estromesso gli stessi dalla possibilità di incidere, come parte pubblica, nella gestione di Acqualatina.

Andando a fondo a questa operazione di finanza speculativa si capisce meglio in che guaio si sono cacciati i Sindaci che hanno sottoscritto quel pegno, ma soprattutto in che guaio hanno messo i cittadini dell’intera Provincia sulla quale opera Acqualatina.

Tornare oggi ad una gestione misto pubblico – privato come era in origine e fino alla data del prestito è una chimera. Fino a quando persiste questa situazione del finanziamento alla banca non sarà possibile, per i comuni mettere in atto azioni che possano avere un ritorno utile per i cittadini.

Infatti nelle bollette, oltre al costo del consumo idrico e di quello che si perde nelle condotte, ci sono i costi di gestione e i costi del finanziamento che deve essere restituito alla banca.

Di fatto quindi, i primi a dovere incassare soldi è proprio la banca che detiene in pegno le azioni dei Comuni, poi il socio privato che comunque nel contratto di gestione deve vedersi garantito un utile, solo dopo arrivano i comuni e quindi i cittadini, che fino a questo momento hanno solamente pagato, in maniera salatissima, tutto questo.

Nel contratto del finanziamento, infatti ci sono clausole talmente stringenti e capestro per i Comuni che di fatto garantiscono solo la banca che ha concesso il finanziamento da 114 milioni di euro.

Intanto il contratto di pegno delle azioni è stato sottoscritto dai 10 Comuni guidati all’epoca dal centro destra, che hanno garantito alla banca il controllo sul 24,83% delle azioni in mano pubblica, è stato sottoscritto il 19 dicembre 2008 e perfezionato dalla Depfa il 26 gennaio 2009.

Anche il socio privato ha dovuto sottoscrivere un atto simile sul 49% delle azioni del socio privato ed è stato sottoscritto, a Londra, in data 12 giugno dello stesso anno.
Questo obbligo della cessione in pegno delle azioni è uno dei vincoli del contratto principale di finanziamento in project financing sottoscritto un anno prima il 23 maggio 2007 e dice espressamente che il finanziamento in project financing doveva essere subordinato alla costituzione di due pegni.

In tal modo è stata consegnata a tale banca una garanzia che consente alla stessa, ove lo ritenga opportuno e in base alla normativa italiana sulle SpA, di sostituirsi ai soci di Acqualatina in assemblea per votare ciò che vuole.

Di fatto la banca creditrice controlla sia il 49% delle azioni private, sia il 24,82% di quelle pubbliche e nei fatti controlla il 73% del capitale sociale. Appare evidente che il socio privato non ha nessuna intenzione di opporsi alla banca con la quale ha trattato e costruito questa operazione di finanza speculativa.

La banca creditrice quindi in assemblea può votare anche contro gli interessi di quei Comuni che non hanno mai sottoscritto l’atto di pegno.

Ma questa possibilità di fatto limiterebbe la di scelta di ogni Sindaco nella Conferenza dei Sindaci dell’ambito idrico, l’organo deputato a fare le scelte strategiche su acquedotti, depuratori, bollette? Sembrerebbe di si.

Sempre in base agli accordi sottoscritti il 23 maggio 2007 dall’allora Amministratore Delegato di Acqualatina Silvano Morandi, l’atto di pegno da parte dei Comuni doveva essere sottoscritto prima che la società cominciasse a spendere i soldi del finanziamento concesso da Depfa.

Dalla lettura dei bilanci dell’epoca sembrerebbe che la situazione sia diversa e che addirittura nel bilancio del 2008 venissero già impegnati i soldi del finanziamento firmato a dicembre dello stesso anno.

Inoltre, la Conferenza dei Sindaci ha approvato quel contratto, che gravava pesantemente sulla tariffa, solo dopo il perfezionamento dei contratti di pegno dei Comuni, un anno e mezzo dopo dalla data di sottoscrizione del 23 maggio 2007 e basta andarsi a rivedere la delibera n. 8 del 22/12/2008.

Nel contratto emergono alcune circostanti contrattuali che lasciano abbastanza interdetti a cominciare dal fatto che i Comuni sottoscrittori “prendono atto del conflitto di interessi” che la Depfa Bank aveva nel ruolo di Agente, Banca Finanziatrice e Creditore Garantito, con la possibilità di stipulare contratti finanziari sostanzialmente con se stessa.

I diritti di pegno inoltre ricoprono anche: I beni e i diritti ricevuti, oltre alle somme di denaro o pagamenti in natura che i soci costituenti il pegno (i Comuni) otterrebbero dalla vendita delle azioni; Il risarcimento di danni e altri oneri e rimborsi a vantaggio dei medesimi soci costituenti il pegno; Costi, imposte, tasse, spese legali e oneri sostenuti dal Creditore in connessione alle somme agli impegni contrattualizzati; I pagamenti dovuti a seguito della sospensione o della revoca del finanziamento.

Ma nei bilanci comunali risultano queste azioni date in pegno alla banca creditrice di Acqualatina? Con quali importi e con quali ammortamenti? Sembrerebbe che non vi sia traccia di tutto ciò nei bilanci comunali e come è possibile che nel bilancio dei comuni sottoscrittori dei pegni non ci sia traccia di ciò?

L’altro impegno sottoscritto è che i soci pubblici, quindi i comuni non possono far scendere sotto il 17,7% la quota delle azioni pubbliche costituite in pegno. Perché? Per evitare che la banca creditrice possa scendere sotto il controllo del 2/3 delle azioni che consente oggi di “gestire” Aqualatina.

Un altro aspetto riguarda possibilità, per gli stessi comuni sottoscrittori del pegno, dell’aumento delle azioni. Per poterlo fare devono chiedere il consenso preventivo alla banca creditrice.

Poi la norma di cui abbiamo già parlato nell’articolo di ieri e relativa al vincolo di non poter votare in maniera contraria su deliberazioni che riguardano, tra l’altro, obbligazioni e strumenti finanziari.

I Comuni non hanno il diritto di votare in alcuna assemblea alle voci “varie ed eventuali” e devono astenersi dall’intraprendere qualunque azione che determini la liquidazione o l’insolvenza di Acqualatina.

Così stanno le cose ed appare evidente che l’unica strada per verificare se quel contratto possa considerarsi “capestro” è solo quella giudiziaria che i Comuni dovrebbero intraprendere, almeno quelli che non hanno sottoscritto l’impegno e ratificato tale atto.

Dal punto di vista dei Comitati cittadini contro Acqualatina l’unica strada è quella dei ricorsi ed andrebbero sostenuti dalla politica, che oggi su Acqualatina, per tutto quello che abbiamo riportato preferisce non prendere posizione visto quello che è stata capace di fare.

Dicevano i latini “mala tempora currunt“

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