Proseguo con il racconto dei sentieri e dei luoghi più interessanti dei Castelli Romani, facendo riferimento a quanto pubblicato sul mio ultimo libro “Sulle tracce del tempo”. In questo numero della rubrica proverò a descrivervi le testimonianze storiche che si trovano intorno al Lago Albano (sentiero CAI 510).
Partiamo dal parcheggio in piazza dei Giochi Olimpici e, a qui, in alto sulla destra, è visibile l’ingresso del Ninfeo Dorico (I secolo a.C.) appartenente ad una delle ville romane della zona. Composto da un ambiente rettangolare scavato nella roccia con volta a botte, misura 11 metri di lunghezza e 8 di altezza. Il rivestimento interno è in opus reticulatum di pietra pomice, mentre i pilastri sono in peperino. Il nome deriva dal cornicione, realizzato in perfetto stile dorico.

Procediamo verso Sud e, all’interno dello stabilimento “I Quadri”, si trovano i resti di un antico faro, utilizzato durante le naumachie (finte battaglie navali sul lago), mentre dall’altra parte della strada c’è il Ninfeo Bergantino, detto anche Bagni di Diana, per un mosaico raffigurante la dea cacciatrice.

Il luogo veniva anche adibito dall’imperatore Domiziano a ricovero per la nave che utilizzava durante le naumachie. Anche papa Alessandro VII Chigi usava la grotta per mettere al riparo la sua barca: un piccolo brigantino ed è per questo motivo che la grotta è conosciuta come Ninfeo Bergantino.

Dopo poche centinaia di metri s’incontra, sulla destra, l’ingresso del famoso emissario del Lago Albano, costruito nel 398 a.C., che rappresenta una delle più antiche e importanti opere di ingegneria idraulica realizzate dagli antichi Romani. Si tratta di un tunnel nella roccia lungo 1.425 metri, largo 1,20 metri e alto 2 che permetteva, con una serie di “chiuse”, alle acque del lago di raggiungere la campagna romana in corrispondenza della località le Mole.
L’emissario è tra i più antichi reperti documentati dell’opera cunicolare romana, secondo solo alla costruzione della Cloaca Massima.
Il Ninfeo Dorico, il Ninfeo Bergantino e l’emissario sono chiusi al pubblico e, quindi, visitabili soltanto in occasioni di visite guidate.

In prossimità dell’emissario, inizia un sentiero, completamente immerso nel bosco, che costeggia lo specchio lacustre nella parte meridionale. Lungo circa cinque chilometri, il percorso non presenta difficoltà particolari e occorre circa un’ora per percorrerlo.
Lungo le rive del lago, si possono osservare esemplari di pioppo nero, di salice e ontani neri: tutte specie di alberi che prediligono la presenza di acqua. Altre piante tipiche delle coste del Lago Albano sono i ligustri, le cui bacche blu nero (particolarmente tossiche) vengono usate per fare tinture e le ginestre dei carbonai molto utilizzate in passato per fabbricare scope.
Sulla riva del lago si possono ancora osservare estesi canneti, oramai completamente fuori dalle acque, che erano habitat perfetti per alcune specie di uccelli acquatici come il germano reale, la folaga e la gallinella d’acqua. Anche il cormorano e più raramente il martin pescatore popolano questo bacino lacustre, mentre una colonia di gabbiani risiede abitualmente al centro del lago.

Dal punto di vista archeologico, lungo tutta la costa del lago si possono osservare i resti di alcune ville rustiche, argini in opera poligonale e porticcioli costruiti in opera quadrata. Le ville dovrebbero esser state otto, tante quanti sono i porticcioli in opera quadrata, e nel I secolo d.C. furono tutte conglobate nella grande Villa di Domiziano.
Nel punto in cui il sentiero si congiunge con quello che dal convento dei Cappuccini conduce alle coste del lago (la cosiddetta “discesa del diavolo”), si possono ancora osservare i resti di una struttura che fanno pensare all’esistenza di un grande santuario molto simile a quello di Lanuvio.
Alla fine del tracciato sterrato, all’altezza dell’albergo “La Culla del Lago”, è consigliabile non girare a destra sulla strada asfaltata, ma seguitare a percorrere il sentiero che conduce alla spiaggia. Lungo questo percorso si trovano atri resti di moli e porticcioli in opera quadrata e, proprio a ridosso della spiaggia, si può ammirare quello che resta del porto romano più grande con due bracci in pietra lunghi rispettivamente 19 e 23 metri.

Lungo la piaggia settentrionale, parzialmente sommersi, ma ancora visibili, si possono osservare i pali lignei che costituivano le basi del Villaggio delle Macine. Gli scavi hanno permesso di recuperare, oltre a numerose macine, pali, travi e tavolati in legno: uno spaccato quasi intatto della vita dei pescatori di quattromila anni fa.
Proseguiamo lungo la spiaggia e, arrivati all’ex porticciolo, si sale verso la strada carrabile, arrivando al punto da dove siamo partiti.